Né le braccia per afferrare, né le gambe per camminare, né il corpo per nutrirsi, né la testa per pensare, valgono l’uomo. L’uomo è il suo cuore. Senza il cuore niente serve a niente. Dal cuore tutto nasce, e tutto trova un senso.
Dopo una manciata di romanzi editi negli ultimi venti anni Roberto Vecchioni pubblica una raccolta di racconti: 15 “lezioni” indimenticabili, quelle tenute negli anni Ottanta quando era insegnante di Latino e Greco in uno storico liceo milanese. Sono lezioni di volo e di atterraggio, perché a farti volare sono bravi tutti, ma per atterrare bisogna prima insegnare il coraggio, e non c’è coraggio senza libertà. Sono pagine da cui emerge un uomo di straordinaria cultura, ma anche un’originalità ribelle; soprattutto trapela la passione autentica dell’insegnamento che discende da Socrate e che attende, da ogni lezione, la realizzazione di quotidiani incantesimi:
“perché una lezione sia davvero magica ci vuole qualcuno che sappia trasmettere il suo sapere e qualcuno che sappia ascoltarlo. Occorre volare, e poi atterrare, tutti insieme“.
Lezioni “ribelli”, improntate a una coscienza critica e a una fantasia capace di smontare e ricostruire, all’esercizio costante del pensiero laterale e della maieutica rivelatrice.
È un continuo battere e levare fra intellettualismi e pomiciate, filosofia e risotti alle rane, Gesù avvinazzato, glottologia e modi di dire, revisioni blasfeme dell’Odissea (“ma no, Ulisse, hai solo dormito!”) e passeggiate al Parco Sempione.
Ci si dava appuntamento in un parco, ci si metteva sparsi, chi in piedi, chi sdraiato e chi in braccio a qualcun altro, dopodiché s’iniziava. «Questo era il gioco, questa la sfida delle giornate di follia: aggirare l’ovvio, non ripetere il risaputo, bucare il tempo, aprire strade, sondare il possibile, il parallelo, l’alternativo. Poteva durare anche a lungo questo aggrovigliarsi di nuvole e mondi, ma si atterrava, prima o poi si atterrava sempre»
C’è un racconto in cui i ragazzi immaginano gli apostoli a orchestrare la strategia editoriale dei Vangeli, perché risultino credibili e spontanei.
Ci sono racconti che paiono scritti dalla penna scatenata di Buzzati e si trasformano in incantesimi (e queste sono le lezioni di volo, da prendere sul serio).
Ci sono racconti che toccano il cuore ricordando Alda Merini e Fabrizio De André.
E siccome non c’è scuola senza i suoi studenti, ci sono ragazzi che per il loro carattere hanno i nomi dei pittori (Merisi – Caravaggio – il casinaro, Lempicka l’intelletto, Kahlo la dea madre): a loro modo tutti simpatici, ma già diversi nei loro gradi di levità e gravità che danno il tono a tutta la narrazione. Nel loro essere simpatici, unici e irripetibili i ragazzi e nell’ingenuità creativa rivelano tutti i loro desideri e paure: sono loro stessi a dar vita alle lezioni e a farsi istruttori di volo perché sono ancora disposti a emozionarsi.
Ci sono dei passaggi di riflessione sublime, a volte richiedono di rallentare e fermarsi a soppesare ogni parola:
Ai miei ragazzi non avevo dato altro che apofonie, rotacismi […]. No, questi sono solo rami, rami secchi: giù, più in fondo sono le radici: Leopardi e quel canto che diventa disperazione, piccolo, sempre più piccolo nella notte. Alda, la mia alda che si strappa l’amore dalle carni e lo vive brano a brano, la Woolf che, sconosciuto e desiderato alla follia, l’amore lo annega in una pozza d’acqua, Catullo che non può provarlo senza odiarlo, Pessoa che ogni parola è un rimando a un’eco che non torna. Inondarli, i ragazzi, in questa seconda verità che strozza e libera, ché non c’è libertà senza dolore, non si è uomini se non si soffre, se non si tiene salda questa infinita glottologia del mistero senza la quale non si può affrontare nemmeno la pedante grammatica del quotidiano.
E c’è quel professore (“quasi famoso, con la storia di un soldato, di un cavallo e della morte”) che non dà mai più di 7, perché “valgo sì e no 8- io”, in equilibrio precario fra la cattedra e il palcoscenico, convinto a “tenere salda questa infinita glottologia del mistero” : il professor Vecchioni.